Dai tanti ponti della città l’occhio corre più volte lungo l’alveo del fiume alla ricerca
dell’acqua, per osservare il famigliare e rassicurante paesaggio del fiume. Ma l’acqua non
c’è più, del fiume che scorre rimangono poche pozze, anche loro destinate a prosciugarsi.
Tuttavia, non ci sono reazioni significative, stupore, proteste; in fondo, d’estate, accade
sempre, salvo l’aggravarsi del fenomeno, particolarmente evidente quest’anno. Accade
perché il Tevere ha un bacino sottoalimentato, non ha sorgenti che ne regolarizzano il
deflusso e quindi in estate il bilancio idrico è fortemente negativo. Diminuiscono le piogge
e tutto il ciclo dell’acqua ne risente, tanto che l’alveo rimane progressivamente
senz’ acqua. E poi ci sono i prelievi (attingimenti e derivazioni superficiali, prelievi dalla
falda idrica mediante i tanti pozzi sparsi nel piano di campagna). Pivot e rotoloni
continuano a spruzzare acqua sul mais, sul tabacco come se niente fosse, incuranti del
fatto che, se si continua a prelevare dalla falda, si accentua sempre più la crisi idrica del
fiume superficiale che finisce per perdere i contatti con quello profondo.
LE ORDINANZE
Quando la situazione diventa disperata scattano le ordinanze, i divieti di attingimento; si prelevi di
giorno, ma non di notte, vietato attingere nei weekend e così via. Ma tutto questo non è
serio, non è corretto, soprattutto per chi ha interessi economici legati alla risorsa idrica.
Non si può gestire l’acqua, salvaguardare gli ecosistemi acquatici e le filiere agricole con
le politiche dell’una tantum, con interventi legati allo stato di emergenza (politiche reattive).
Invece, la particolare fisionomia del Tevere e la congiuntura climatica imporrebbero
politiche di tipo proattivo, anticipando gli interventi necessari per prevenire situazioni
critiche. Occorre un piano di conservazione e valorizzazione delle risorse idriche,
un’accurata analisi della domanda e della disponibilità d’acqua, adottando piani di gestione
che armonizzino gli interessi economici e quelli ambientali. Ad esempio ci si dovrebbe
domandare se sono ancora sostenibili le colture del tabacco e del mais, considerate le più
energivore dal punto di vista chimico e idrico; per la produzione di 20t/ha di mais sono
richiesti fino a 8000 m3/ha di acqua, il tabacco comporta un consumo d’acqua 8 volte
maggiore ad altre colture come i pomodori o patate. Non esistono alternative, è imperativo
razionalizzare l’uso dell’acqua, evitare gli sprechi, riciclarla. Nel settore agricolo occorre
adeguare gli indirizzi colturali per produrre in modo sostenibile, per coltivare le specie
compatibili con le disponibilità idriche, evitando così incertezze e penalizzazioni che si
verificano sempre e comunque nelle situazioni di crisi idrica. Non è più sufficiente fare
riferimento a piani, disposizioni e ordinanze, quando tutti sanno che saranno difficilmente
rispettate.
L’ ECOMUSEO DIFENDE GLI INTERESSI COLLETTIVI DELLE COMUNITA’
Proprio per questo l’Ecomuseo del Tevere, a difesa degli interessi collettivi delle comunità
e della salvaguardia ambientale, sottolinea l’importanza di far riferimento alla funzionalità
ecologica e ai servizi ecologici che gli ecosistemi fluviali assicurano. Oltre che una
questione di carattere ambientale è in ballo la salvaguardia del principio democratico del
rispetto dei diritti. Nella gestione idrica di un bacino idrografico c’è da rispolverare un punto
su cui si è molto teorizzato in passato, mai messo in pratica, e cioè l’uso plurimo
dell’acqua come bene comune. Giustamente tutti accampano diritti per l’uso dell’acqua:
irriguo, idropotabile, industriale, attività sportive (canoe, pesca, ecc). Non bisogna
dimenticare la questione ambientale che comprende l’ autodepurazione e la qualità
dell’acqua, la difesa della vita acquatica e la biodiversità e infine le funzioni ricreative,
culturali, spirituali ed estetiche. Tante attese e tanti portatori di interesse, nessuno può
però dire “l’acqua è mia” o avanzare diritti prevalenti rispetto agli altri. L’acqua come bene
comune richiede una responsabilizzazione di politici e amministratori superando le lacune
e le assenze frutto di decenni di gestione monotematica dei territori pianeggianti. Non si
può più ritenere sostenibile che un uso prevalente, ad esempio l’uso dell’acqua per
irrigazione, o per la produzione idroelettrica, comprometta gli interessi dei più (singoli e
collettivi).
USO PLURIMO DELLE ACQUE
E’ quindi opportuno aprire un dibattito sull’uso plurimo delle acque con il
concorso di tutti i portatori di interesse. Si potrà in questo modo incominciare a ragionare
sul valore plurimo del paesaggio fluviale che potrebbe fornire risorse aggiunte. E ci sarà
quindi spazio per una nuova pianificazione che faccia della sostenibilità il fulcro fra attività
economiche e conservazione delle risorse naturali. Almeno così dovrebbe essere,
altrimenti all’Ecomuseo del Tevere non rimarrà altro che continuare a testimoniare il Tevere
e la civiltà che furono senza alcuna speranza per il futuro.
Mario Mearelli
Ecomuseo del Tevere