I giochi
Giochi di gruppo ad Umbertide
Cultura materiale e mestieri: I giochi al fiume
Motivazioni storiche e/o ambientali
Premessa
Intervista ad Adriano Bottaccioli
Il Tevere è stato per secoli punto d’incontro degli abitanti di Umbertide e quindi anche dei più piccoli che cominciavano a frequentarlo accompagnando le mamme che andavano a lavare i panni e più tardi, da grandicelli, in compagnia di coetanei. Inevitabile che diventasse luogo di svago soprattutto nei mesi estivi quando, ai vicoli stretti e bui del centro storico, si preferivano le assolate spiaggette del Tevere ed il refrigerio della folta vegetazione del Patollo, luoghi ideali per sfogare l’esuberanza tenuta a freno per mesi durante l’inverno.
Un’offesa al pudore?
Nei primi anni dell’Ottocento, le lavandaie che sciacquavano i panni sotto il ponte protestavano calorosamente, non perché i bagnanti intorbidassero l’acqua, ma perché la loro vista offendeva il pudore o forse era motivo di distrazione. Ci fu uno scambio di lettere tra sindaco, delegato di pubblica sicurezza e prefetto, perché la cosa sembrava seria, ma nessuno se la sentì di prendere posizione ufficiale. Alla fine il sindaco si ricordò che esisteva una notificazione molto antica al riguardo, risalente addirittura agli statuti del 1521, e sulla base di quella emise la seguente ordinanza: “Gli uomini facciano il bagno dalle Schioppe in giù. Le donne dalla Salce in su. Tutti, dal Mulinaccio al ponte, con le brache”.
Il provvedimento fa pensare che anche le donne vestissero il costume adamitico, ma non pervenne mai alcuna protesta.
Bagni al Tevere senza cabine – calendario di Umbertide 2011
Nel luglio 1894, mese straordinariamente caldo, l’unico refrigerio era un bagno al Tevere. Ma il giornale locale “Facanapa” si lamentò che “in mezzo a tanta acqua, non ci fosse almeno un luogo, una capanna, una baracca, per bagnarsi con un po’ di comodo”. Il Comune aveva proibito l’accesso ad alcune zone del fiume alla Società dei Canottieri, riservandole ai bagnati, ma evidentemente mancavano ripari adeguati per la necessaria intimità. Solo quarant’anni dopo, negli anni Trenta del Novecento, la costruzione del “Lido” risolverà il problema; nell’attrezzata struttura balneare, infatti, verranno impiantate anche comode cabine per i bagnanti.
Chiudono le scuole, si gioca dall’alba al tramonto
La chiusura delle scuole apre la stagione della simbiosi con il Tevere di chiunque sia in età per giocare, dall’alba al tramonto.
Si comincia, sul far del giorno, a ritirare le corde, posate la sera prima, gli ami celati da sanguinolente budella di piccione, cui la mattina sono subentrate anguille o lascòni. Rifornimento mattutino con orèllo di pane fumante e mezz’etto di mortadella: “da meno”, che scomparte di più! Poi pesca a galla sul raggio, con mosche, cavallette o, al momento della passata, bèllere.
Quando il sole comincia a picchiare ci si rifugia all’ombra dei pioppi, per tramare improbabili attacchi alle bande rivali, boccheggiando il fumo delle liane per convincersi della propria virilità.
Alla mezza, brevissimo intervallo a casa, il tempo indispensabile per trangugiare due etti e mezzo di boconotti con involtino in umido sul colmo.
Siesta nella capannina, ricavata scavando una grotta nel patollo sull’orlo del fiume, che la piena d’autunno cancellerà.
E intanto il tempo passa
Si passa il tempo sfogliando Tex; giocando a bestia con fiches di figurine; separando dalla tenera corteccia i rametti di salce; varando zattere e remando fra gli anfratti della riva fingendosi pirati, corsari o solo esploratori o semplicemente ascoltando usignoli o cicale. Di tanto in tanto ci si concedono trasgressioni angoscianti, sconfinando oltre la chiusa. Si rientra a casa solo quando il solustro non è più sufficiente a far distinguere i rami neri degli alberi da mani di streghe terribili, scoprendo ogni volta che la notte in paese è più precoce di quella sul fiume. Il fuoco con gli strocchi di tabacco, arenati con le piene del primo autunno, è il segnale che è finita un’altra stagione terribile.
Incontri con le scuole
Percorso educativo “La riva del fiume” Attività:
- l’importanza del fiume Tevere per gli abitanti del posto ieri, oggi e domani;
- come è cambiato il ruolo del fiume negli anni;
- le attività legate al fiume ieri, oggi e domani.
Obiettivo: conoscere il fiume per tutelarlo e valorizzarlo.
Prodotto finale: presso il CEA MOLA CASANOVA è stata allestita la mostra “La riva del fiume” con foto d’epoca e riproduzioni. La mostra è esposta ancora oggi presso il centro ed è visitabile.
Il percorso educativo “La riva del fiume” svolto con gli studenti di scuola primaria, ha voluto studiare il ruolo del fiume Tevere negli ultimi 100 anni.
Nello svolgimento del percorso educativo sono stati coinvolti anche i genitori e i nonni degli studenti tramite la compilazione di questionari (in allegato) redatti dai ragazzi.
In particolare, per quanto riguarda i giochi al fiume, dalle interviste fatte dagli studenti ai loro genitori e nonni, è emerso che i giochi che gli intervistati, da ragazzi, svolgevano lungo il fiume, erano molti o molto vari.
Si va dalle attività più normali come fare passeggiate, giocare con la sabbia, giocare a palla, a bocce, gettare i sassolini in acqua… ad attività diverse come scovare i pesci che si nascondevano sotto i sassi del fiume, pescare con canne improvvisate.
Altre volte, inoltre, i ragazzi si ritrovavano lungo le sponde del fiume per giocare a piastrella, a tocca tocca legno, al gioco della pastorella, a girotondo, a nascondino, a mosca cieca, a palla avvelenata, a caccia al ladro, a sassetto, a campana.
Le sponde del fiume costituivano anche il luogo privilegiato per ascoltare i racconti dei nonni, o per improvvisarsi cantanti o ballerini.
Testimonianza di Adriano Bottaccioli (maggio 2012)
Parlando del Tevere non si possono dimenticare i giochi che da bambini o anche da adolescenti si facevano attorno alle sue rive.
In molti casi erano gli stessi giochi che si facevano nei vicoli e nelle piazzette di Umbertide di allora però molti erano specifici della zona e fra questi c’era la costruzione delle capannine, i piccoli feudi che appartenevano a gruppi di ragazzi, oppure soprattutto il nuoto o i tuffi e i bagni nelle zone meno pericolose. Insomma, erano tutti quei giochi che si riferivano alla vita del Tevere.
Il fiume era la nostra giungla, leggevamo, di quei tempi, Salgari o simili, e non facevamo altro che riprodurre quel tipo di ambiente.
Fra gli altri giochi praticati ce n’erano alcuni che a molti non diranno nulla però per noi e per molta gente del tempo avevano dei significati particolari ed erano: la luna vera,
nascundino che rimane tuttora, i quattro cantoni. Questi giochi, attorno alle rive del Tevere, assumevano un loro significato particolare perché l’ambiente era ovviamente più stimolante.
Altri giochi erano quelli che si effettuavano con le figurine o con le palline che erano palline rigorosamente di coccio e anche quelle avevano un legame con il Tevere perché venivano fatte con l’argilla ricavata dal Tevere stesso.
Altri giochi particolari erano i giochi di guerra con le fionde o altro, un po’ pericolosi ma che si facevano lo stesso.
Le rive del Tevere erano dominio prevalentemente dei maschi.
Era l’ambiente stesso che oltre ad essere stimolante, serviva a restare un po’ più all’aperto dopo i lunghi inverni freddi che erano tipici del posto.
I giochi del Tevere
appunti di Adriano Bottaccioli
Quello che segue è un elenco dei giochi che venivano praticati più di frequente sul fiume.
– Pesca con il fazzoletto
Era il divertimento più comune dei bambini che accompagnavano le mamme che andavano a lavare i panni al fiume e che armati di un fazzoletto e senza allontanarsi dal posto dove erano le mamme, cercavano di catturare qualche pesciolino o qualche girino (bótolo) che avrebbero inutilmente riportato a casa destinandoli a morte certa.
– Bolle di sapone
Gioco innocuo e divertente cui si dedicavano i bambini utilizzando il sapone Marsiglia delle mamme e una piccola cannuccia, spesso la stessa usata per far uscire il “ranno” dalla “scina” della bucata. Non esistevano ancora le confezioni pronte di oggi, ma che piacere veder volare questi effimeri palloncini che riflettevano i colori del fiume!
– Barchette
Realizzate con fogli di carta piegati ad arte, gusci di noce con tanto di alberi e vele fissati sul fondo con mollica di pane, o semplici pezzetti di legno appena sagomati o raccolti sul greto del Tevere, le “barchette” abbandonate alla corrente compivano complesse evoluzioni per superare i veloci “raggi” e gli insidiosi “mulinelli” del Tevere.
– Far saltare i sassi sull’acqua
Un altro gioco autarchico nel senso che il “pitriccio” offriva in abbondanza le materie prime: sassi piatti e tondeggianti che gettati con destrezza nel fiume, avrebbero fatto tanti
saltelli a seconda della bravura e della fortuna di chi li tirava in acqua. Vinceva, naturalmente, chi riusciva a fargli fare più salti, raggiungendo magari la riva opposta.
– Le capannine
Non erano ancora finite le scuole e già i gruppi di ragazzini avevano deciso quale tratto di sponda del fiume “occupare” contrassegnando lo spazio con la costruzione di una capannina, servendosi della folta vegetazione del “patollo” ed appoggiandosi a un “albarone” o a una “salce” che gli avrebbe garantito una certa stabilità.
– Le zattere
Manufatti ancora più precari delle capannine, che sollecitavano la fantasia di chi aveva letto i fumetti tratti dai libri di Salgàri. Di volta in volta piroghe nella jungla della Malesia, canoe negli impetuosi fiumi del far west, galeoni di pirati nelle tempeste delle Antille, ma in realtà quattro tronchi malamente collegati assieme da lunghi tralci di vitalbe, le nostre “liane” e imbarcazioni inadatte anche in una “pescólla” d’acqua.
– Nuoto, tuffi
Erano giochi praticati dai ragazzi più grandi ed esperti ma capitava, purtroppo abbastanza spesso, che l’esperienza non bastasse ed il tutto sfociasse in una disgrazia causata dall’incoscienza e dalle mille insidie che il fiume nascondeva: buche, ostacoli nascosti o malori improvvisi che ogni anno mietevano vittime.
– Nuoto sott’acqua
Era anche questo un gioco riservato ai ragazzetti più grandi che si immergevano in apnea per recuperare un oggetto che veniva buttato in acqua per mettere alla prova l’abilità dei concorrenti. In tempi in cui si faceva il bagno nudi o con le mutandine normali che si facevano poi asciugare al sole perché la mamma non se ne accorgesse, non si usavano occhiali, né maschere da sub ma al massimo una molletta da panni perché non entrasse acqua nelle narici.
– Pesca con le mani
Era considerata pesca di frodo ed era praticata solo dai ragazzi esperti che comunque correvano notevoli rischi immergendosi tra le radici delle piante o nelle grotte formate dai detritidelponteabbattutodurantelaguerraoquellenaturalisulle spondedelfiume.
– Le piastrelle
Si giocava come con le bocce, salvo il fatto che queste erano sostituite da piastrelle scelte tra i sassi più adatti allo scopo e che certamente non mancavano nelle zone come il
“Pitriccio”. Una piastrella, la più piccola, fungeva da “buccìno” e con le altre bisognava avvicinarsi il più possibile per ricavare punti. L’avversario, a sua volta, avrebbe cercato di scalzare le altre sostituendole con le sue.
Giochi collettivi
– La mulavéra
Si formavano due squadre ed i componenti di una di queste si disponevano a gambe divaricate e braccia allacciate ai fianchi del compagno di fronte, fino a formare una fila. Il primo della fila si appoggiava ad un albero. I rivali, dopo aver preso la rincorsa, dovevano saltare sulla groppa degli altri contendenti facendo in modo che anche i compagni trovassero posto e stando attenti a non cadere, pena la sconfitta.
– A mosca cieca
Il giocatore scelto attraverso la conta veniva bendato e gli altri concorrenti gli si mettevano attorno sfiorandolo e cercando di non farsi afferrare. Se questo accadeva era il “prigioniero” ad essere bendato ed a ripetere l’operazione.
– Schiaffo del soldato
Scelta una persona mediante la conta, questa si appoggia ad un albero e si copre gli occhi con una mano, mentre passa l’altra sotto un’ascella, tenendo la palma aperta. Gli amici colpiscono la mano aperta e alzano un dito, se la persona prescelta intuisce chi è stato a colpirlo, questo si sostituisce a lui per ripetere la prova.
– Nascundìno
Era un gioco di gruppo particolarmente adatto ad un ambiente come quello delle sponde del Tevere che offriva centinaia di nascondigli. Il bambino prescelto mediante la conta, si appoggiava ad un albero e doveva stare ad occhi chiusi dando modo ai compagni di nascondersi. Contava fino a dieci e concludeva la conta con le parole “… chi è fóri è fóri, chi è dentro è dentro!”. Scoprendo uno dei ragazzini nascosti gridava: “Tana per ……..”. Se invece uno dei contendenti riusciva a raggiungere l’albero su cui si era appoggiato il bambino che aveva effettuato la conta e gridava “Tana” era libero, oppure, gridando “Tana, libera tutti…” lo condannava a ripetere la conta. Una variante del “Nascundino” era “Padre Girolamo” che prevedeva una penitenza a base di calci nel sedere.
– ‘L fazzoletto
Veniva scelto un bambino che assumeva il ruolo di arbitro e formava due squadre con pari concorrenti ai quali si attribuivano numeri che corrispondevano a quelli dei bambini della squadra avversaria. Si tracciava una linea in terra con una serie di sassi o dei bastoncini e quando l’arbitro che teneva in mano il fazzoletto gridava un numero, i contendenti che corrispondevano a questo numero dovevano cercare di prendere il fazzoletto evitando l’avversario che, solo toccandolo, avrebbe vinto la prova.
– Palla prigioniera
Si formavano due squadre che si disponevano da una parte e dall’altra di una linea tracciata sul terreno. I giocatori tiravano una palla dal lato della squadra avversaria e se questa veniva presa al volo, il tiratore diventava prigioniero e passava dall’altra parte. I suoi compagni dovevano tentare di recuperarlo facendo in modo che fosse lui a prenderla per tornare a far parte della squadra originale. Vinceva la squadra che contava il maggior numero di prigionieri rispetto alle perdite subite.
I giochi delle bambine
Nella scelta dei giochi le bambine non sono mai state seconde ai maschi e riuscivano ad adattare i più popolari alle esigenze di un ambiente diverso come quello delle rive del fiume.
– Le belle statuine
La bambina prescelta chiudeva gli occhi con una mano e le compagne assumevano delle pose restando ferme come statue. Tra queste veniva scelta quella con la posa più bella che, a sua volta, avrebbe scelto le altre.
– Un, due, tre… stella !
La bambina che comandava il gioco si voltava dalla parte opposta delle altre compagne che tentavano, a piccoli passi, di arrivare alla “tana”. Quando la bambina diceva “Un, due, tre… stella !” queste si dovevano fermare, pena l’esclusione dal gioco.
Giochi di guerra
– La guerra
La simulazione della guerra ha sempre affascinato i bambini e l’ambiente multiforme del Tevere con l’acqua del fiume, la vegetazione intricata, i sassi e la sabbia, creavano un ambiente di fantasia che corrispondeva in pieno alle location dei film proiettati al cinema o ai racconti letti sui fumetti. Cow boy contro pellerossa, esploratori contro indigeni, eroici soldati contro gli eserciti invasori, armi, per fortuna raramente pericolose e scoppi di bombe e crepitii di mitragliatrice imitati con la bocca erano gli ingredienti di queste guerre che si risolvevano, senza strascichi, nel giro di poche ore.
– La lòttola
Tra i giochi che si rifacevano ai film o ai fumetti c’era la “lòttola” e cioè un misto di lotta libera fatta di sgambetti, prese, contorcimenti che avevano il solo scopo di stendere a terra l’avversario senza colpo ferire, ma solo per dimostrare la propria destrezza.
– Costruzione di armi rudimentali
Erano tempi in cui le uniche armi che si trovavano tra i pochi giocattoli che si ricevevano per Natale, erano dei fucilini di latta che sparavano tappi di sughero. Il resto delle armi dovevano essere costruite autarchicamente con quello che offriva la natura, l’immaginazione e qualche materiale di recupero: le fionde che si ricavavano da due rami a forma di forca, due elastici e un pezzetto di pelle; la cerbottana che si otteneva tagliando una canna sottile o un ramoscello di legno cavo usando come proiettili i frutti dell’ippocastano o i “cicini” del sambuco; archi ricavati da rami flessibili con le due estremità collegate con uno spago e frecce con tanto di penna come quelle degli indiani, spade ottenute sagomando alla meglio delle stecche e fucili che si potevano caricare tendendo un elastico con un pezzetto di legno che veniva trattenuto da una molletta da bucato. Armamenti precari che spesso causavano più danni a chi l’usava che ai rivali, magari inconsapevolmente riportava alla memoria gli anni di guerra vera appena trascorsi.
Giochi con biglie e figurine
– Palmo e toccio, a stécchio, buchette, castelletto
Giocare a palline sul greto del Tevere era senz’altro più stimolante che farlo tra i vicoli della Fratta: i sassi, la sabbia, le erbe creavano degli ostacoli che rendevano più difficili le sfide a colpi di palline multicolori che a quei tempi erano rigorosamente di “coccio” e spesso “bilorchie” perché fatte a mano dai vasari del posto.
– Costamuro (con figurine o monete)
Quando le figurine costituivano per molti di noi un piccolo quanto effimero patrimonio, le sfide più agguerrite venivano combattute giocando a costamuro, appoggiando le figurine al tronco di un albero e facendole scendere verso il basso tentando di coprire quelle degli avversari. Chi ci riusciva vinceva tutte le figurine messe in palio.
– La fionda
Occorre individuare in una salce del patollo (patollo: riva del fiume in cui attecchiscono salici e canne) una forcella della dimensione giusta, da personalizzare con decorazioni ottenute intagliando la corteccia. Il sistema di catapultamento è ottenuto collegando sulle corna della forca una stringa ritagliata da una camera d’aria di motocicletta, resa più manesca, al centro, da una ellisse di cuoio. Il proiettile, che può essere una ghianda, una castagna, un osso di pesca, in caso di dichiarazione di guerra è un sasso levigato. I bersagli, a seconda delle situazioni e delle necessità, variano dai gatti, ai cani, ai passeri; più maliziosamente diventano le lampadine dei lampioni pubblici, votate alla morte per favorire abbracci furtivi. Spesso i proiettili finiscono contro i vetri delle finestre, quasi sempre quelle delle padrone di casa più impetuose ed agguerrite.
– I caritìni
Il caritino è formato da un piano di legno con due mozzi, ai cui estremi ruotano ruzzole di legno. Quello posteriore è fisso, quello anteriore viene fatto sterzare su un perno da briglie attaccate agli estremi o direttamente dai piedi del pilota. Si sta diffondendo una versione tecnologicamente avanzata, nella quale le ruzzole di legno cedono il posto a cuscinetti a sfera scartati dalle officine di manutenzione dei trattori, i cui addetti sono grellati per settimane da aspiranti autisti, pazienti e sognanti. Il problema sono le piste, che dovrebbero essere in discesa e levigate. Andrebbe bene la Tiberina, unica strada asfaltata, ma la discesa più vicina è quella di Magnamacco o quella della Badia e c’è l’inconveniente che ogni tanto la corsa può essere disturbata da una Balilla, da qualche calesse, o carro di buoi.
Non resta che ripiegare sulle strade sterrate del paese, dopo averle ripetutamente spazzate con scope di saggina. Gli autodromi più frequentati sono le discese dell’ospedale, del mercato, del piazzone (partendo dalla ferrovia), della Caminella e, per gli scavezzacolli, la Piaggiola con la chicane del Bocajolo.